PAPA GIOVANNI PAOLO II

 

DAL QUOTIDIANO REPUBBLICA DEL 02 aprile 2005 ( http://www.repubblica.it )

Ha piegato il mondo e il papato
Entrerà eretto nella Storia

di MARCO POLITI

Papa Wojtyla che fa la "ola" con un milione di giovani a Torvergata. Papa Wojtyla davanti al Muro del Pianto. Papa Wojtyla con lo sguardo assorto nella Casa degli schiavi in Senegal. Papa Wojtyla che abbraccia il rabbino Toaff nella Sinagoga di Roma, che medita silenzioso nella Moschea di Damasco, che accarezza la tomba di Gandhi, che dà la parola agli indios del Perù, che si affaccia al balcone con il dittatore Pinochet. Papa Wojtyla che incede pieno di forza a Varsavia e che diventa muto in Slovacchia. Papa Wojtyla che scia, va in barca, vola in ogni parte del mondo, papa Wojtyla rannicchiato dolorante nella sedia a rotelle. Papa Wojtyla che ride, che fa ruotare il suo bastone, papa Wojtyla che ammonisce irato.

Mai nessun leader ha parlato davanti a folle così numerose, mai nessun leader ha proiettato così incisivamente le sue immagini nella mente e nei cuori della gente. Quando ancora non si parlava di globalizzazione, il pontefice polacco ha intuito che il papato andava proiettato in una dimensione planetaria. E lo ha fatto. Quanti aspirano alla successione dovranno misurarsi con un'eredità pesante. Perché dopo un quarto di secolo wojtyliano nessuno potrà limitarsi ad essere Papa in Vaticano, ma dovrà riuscire ad essere Papa dei cinque continenti.

Però la vera natura di Karol Wojtyla, la radice del suo agire si ritrova altrove. In fondo alla sua anima. Wojtyla è stato profondamente mistico, basta vedere come pregava. Quando si raccoglieva in preghiera dinanzi ad un immagine sacra - preferibilmente una Madonna, cui affidava la regalità e la protezione di una nazione - si assisteva al suo immergersi negli abissi dello spirito. Pregare per lui significava abbandonarsi totalmente, perdutamente, nelle braccia del proprio Dio. Persino il viso si trasformava, si scarneficava, perdeva di consistenza e di colore durante questo viaggio in una dimensione sconosciuta.

Nasceva da radici mistiche la ferma convinzione di Wojtyla della sacralità della dignità umana. L'uomo, per lui, non era solo immagine di Dio come la Bibbia insegna, ma anche "gloria di Dio". Incomparabile, dunque. Da salvaguardare nella sua unicità, libertà e dignità. Il filo rosso dell'azione politica di Wojtyla nella Polonia di Solidarnosc degli anni Ottanta come nel mondo globalizzato del trapasso di millennio, il suo impegno per la pace, il suo grido in difesa dei derelitti del pianeta sta lì, in quella convizione che l'uomo è "gloria Dei".

Quando fu eletto, in quel 1978 passato alla storia come l' "anno dei tre papi", nessuno poteva immaginare quello che ne sarebbe seguito. Il terremoto che ha rovesciato la cortina di ferro, ridato libertà ai paesi dell'Est e condotto infine alla dissoluzione dell'Unione sovietica e del sistema comunista. Eppure, al di là di questo grandioso rivolgimento geo-politico, sono altre le tracce che ha lasciato nella storia della Chiesa cattolica. In un'epoca segnata dal "pensiero debole", dalla critica permanente e dalla relativizzazione inesorabile di costumi e valori Giovanni Paolo II ha dimostrato che la fede non è un residuo del passato, un abito logoro ripescato in soffitta, ma qualcosa di attuale e di vitale. Qualcosa che tocca il senso dell'esistenza.

E proprio dinanzi all'esplodere del fondamentalismo religioso Karol Wojtyla ha insistito che l'autentica fede in Dio contrasta radicalemente con l'abuso del nome di Dio che si manifesta nel terrorismo di matrice integralista. Invocare Dio per portare la morte e la guerra, ha ripetuto instancabilmente, è un peccato e una bestemmia. Con questa impostazione egli si è sforzato di abbattere barriere secolari di odio e di competizione tra le fedi, auspicando invece che nella comune adorazione del Divino gli uomini di religione trovassero motivi di collaborazione per la pace, la giustizia, il riscatto dell'uomo.

Quando cominciò a viaggiare freneticamente, c'era chi ironizzava su questo commesso viaggiatore del vangelo, quasi che il narcisismo del comunicatore gli avesse preso la mano. Un bilancio storico mostra, invece, che abbandonando decisamente la "scrivania papale" nascosta nei palazzi vaticani egli è riuscito a dare un senso intenso di appartenenza alla galassia cattolica che ormai supera il miliardo e centomila fedeli nei cinque continenti.

In venticinque anni ha trasformato radicalmente la percezione del papato agli occhi del mondo. Con lui il romano pontefice ha cessato di essere unicamente il capo dei cattolici o tutt'al più un importante leader cristiano. Wojtyla è riuscito ad essere considerato ovunque come il portavoce dei diritti umani al di là di ogni frontiera culturale, religiosa, socio-economica. Il primate anglicano che gli bacia commosso l'anello, i leader musulmani che lo accompagnano deferenti in moschea, i capi delle comunità ebraiche con cui si è incontrato in ogni nazione, le folle di ogni religione o anche di non-credenti che sono accorse per ascoltarlo in tanti luoghi, hanno testimoniato la sua capacità di rappresentare le rivendicazioni fondamentali di milioni di uomini e donne del pianeta. Dovunque è apparso, è risuonato l'appello alla dignità dell'essere umano, l'esortazione a prendersi a cuore la sorte dei più indifesi, degli emarginati, di quanti sono schiacciati dalla logica del profitto, i bambini, gli ammalati, gli handicappati, gli anziani, i poveri, i disoccupati, gli immigrati, i rifugiati, le masse diseredate del sud del mondo. Non è un caso se i giovani hanno sempre risposto con slancio emotivo ai suoi appelli.

Riecheggia ancora il grido lanciato a Denver alla giornata mondiale della gioventù: "Non abbiate paura di andare per le strade, nelle piazze di città e villaggi. Non è tempo di vergognarsi del Vangelo. Non abbiate paura di rompere con i comodi modi di vivere. Giovani cattolici del mondo, non deludete Cristo, nelle vostre mani portate la croce, sulle vostre labbra portate le parole di vita!".

Portare parole di vita, così ha concepito la sua missione.
In questa parabola straordinaria sono presenti anche insuccessi e sconfitte. Sarebbe ingenuo non vederli. La sua lotta senza quartiere contro la teologia della liberazione in America latina ha aperto la strada alla penetrazione delle sette fondamentaliste protestanti, la sua repressione di ogni forma di teologia critica ha impedito il maturare di nuovi approcci nel rapporto tra fede e mondo moderno, il suo condannare ossessivamente divorzio e contraccezione, il suo combattere le leggi sull'aborto o sulle coppie di fatto, il suo accanirsi contro l'omosessualità sono stati silenziosamente bocciati da milioni di cattolici in ogni parte del mondo. Il suo veto "per sempre" all'ordinazione sacerdotale delle donne è apparso velleitario, il suo rifiuto assolutista a concedere la comunione ai cattolici divorziati e risposati, crudele.

Eppure anche di questo navigare controvento resta lo stimolo a non banalizzare eventi e fenomeni della società contemporanea: si tratti della crisi della famiglia o dei rapporti sessuali, dell'ingegneria genetica o dei valori che devono animare le relazioni economiche, politiche e sociali. Dopo il crollo del Muro di Berlino ha intuito lucidamente i pericolo dell'espandersi di un pensiero unico ispirato al liberalismo selvaggio e non a caso proprio dalla Porta di Brandenburgo ha proclamato nel 1996 la necessità di contrastare l'ideologia di un "capitalismo radicale", spietato e livellatore.

Come Napoleone al termine della sua sfolgorante avventura lasciò la Francia con i confini di prima, Karol Wojtyla lascia al successore alcuni nodi già presenti alla sua elezione al trono papale. La grave crisi del clero, che non riuscirà mai più - se resta nelle forme attuali - a coprire i bisogni di fedeli e parrocchie. E l'insostenibilità di un modello assolutistico dell'organizzazione ecclesiastica che si riassume nell'onnipotenza decisionale del papa-sovrano. Molti vescovi attendono l'ora di un decentramento e di una partecipazione democratica al governo della Chiesa, che si riassume in gergo ecclesiastico nel termine di "collegialità".
Al successore Karol Wojtyla lascia tuttavia due grandi regali. La disponibilità alla revisione del ruolo stesso del papato, da ridiscutere con i leader delle altre Chiese cristiane come dichiarò nell'enciclica Ut Unum Sint. E l'aver portato la Chiesa a pronunciare un solenne mea culpa per gli errori e gli orrori commessi attraverso i secoli.

Così, fra le tante immagini, rimarrà quella del vecchio pontefice che a passi incerti si avvia verso il Muro del Pianto, il muro dell'antico tempio di Dio a Gerusalemme, per infilare fra le fessure la sua confessione di colpa per l'antisemitismo cristiano. "Purificare la memoria" - è stata una delle sue intuizioni - libera dai fardelli impuri del passato l'annuncio del vangelo. Perché questo, alla fine, è stato il suo unico scopo. Perseguito anche quando il procedere inesorabile della malattia gli avrebbe consigliato il riposo o le dimissioni.

Ma Karol Wojtyla non è arretrato. Piegato dal dolore che lo ha consumato negli ultimi anni della sua vita, entra eretto nella storia.

 

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