DAL QUOTIDIANO
CORRIERE DELLA SERA .IT DEL 02 aprile 2005 ( http://www.corriere.it
)
E' dialogo con le altre religioni
di ARRIGO LEVI
Andrea Riccardi ha definito una volta il dialogo
ecumenico fra le religioni "una misteriosa discordia, che rende più
ricca l'amicizia e la concordia". Il mistero del dialogo con "gli
altri", religiosi di altre fedi cristiane, ebrei, musulmani, credenti di
tradizioni aliene ed anche laici non credeni, è stato esplorato più che da
ogni altro Papa, da Giovanni Paolo II. Lo spirito ecumenico segna l'apostolato
del Papa polacco non meno e forse più di altre sue caratteristiche, che ad
alcuni appaiono dominanti: come la riaffermazione dell'autorità papale nella
Chiesa; o la difesa di alcuni valori tradizionali (la lotta contro l'aborto)
che non sembrano al passo coi tempi; o la vocazione che lo chiama a predicare
il suo vangelo in tutto il mondo, in un instancabile pellegrinaggio che
vecchiaia e malattia hanno solo rallentato; o la difficile ricerca del giusto
mezzo fra la predicazione della pace come valore irrinunciabile e il principio
(ribadito pochi giorni fa a proposito del Kosovo), che "occorre disarmare
l'aggressore", anche con la forza.
A me sembra che nessun altro motivo - guida della
predicazione di Giovanni Paolo II abbia modificato in modo rivoluzionario
l'identità stessa della Chiesa che gli è affidata come la sua ricerca del
dialogo con gli altri. Questa ricerca ha comportato una revisione radicale
della concezione che la Chiesa ha acquisito della sua stessa storia, sotto
l'impulso imperioso di questo Papa, mosso da un impegno penitenziale che lo ha
portato a pronunciare una impressionante serie di "mea culpa" per le
azioni di coloro che (per citare un'espressione del cardinale Silvestrini),
"hanno offeso il volto di Dio uccidendo nel nome di Dio". Sono state
così condannate le persecuzioni di cristiani non cattolici, di presunti
eretici, di ebrei e musulmani (fin dal 1995 il Papa ha condannato anche le
Crociate, "che non furono un modo appropriato per difendere i Luoghi
Santi"). L'impegno penitenziale è stato posto dal Papa al centro del
Grande Giubileo, accanto al "dialogo con gli altri", che ha avuto
momenti significativi negli incontri fra un cardinale e un "laico"
svoltisi a Roma nella cattedrale di San Giovanni in Laterano e inaugurati
proprio da un incontro, presieduto dal cardinale Ruini, tra il cardinale Biffi
e chi scrive (ai successivi incontri presero parte Martini e Zavoli, Lustiger
e Magris).
Vi è un legame profondo tra lo spirito ecumenico e la
ricerca del dialogo con gli altri, la rilettura critica della storia della
Chiesa e del Cristianesimo, e la concezione stessa della propria fede. Quando
si rimette in discussione il passato, si cambia il presente. Quando si dialoga
con "l'Altro", si cambia la propria stessa identità. I grandi
incontri ecumenici iniziati dal Papa ad Assisi dodici anni fa, e proseguiti
dalla Comunità di Sant'Egidio con una partecipazione sempre più vasta di
rappresentanti di tutte le principali religioni del mondo, oltre che di laici
"non credenti", hanno finito per proporre una diversa immagine e
identità per la stessa Chiesa cattolica: a Bucarest sei cardinali hanno
firmato un testo in cui si afferma che dalle religioni "scaturisce una
forza debole che può cambiare il mondo"; nella storia, come sappiamo, le
religioni non sono certo state una "forza debole". Attorno al
problema di conciliare il principio che al di fuori di Cristo (e della Chiesa)
non vi è salvezza, con il riconoscimento che la "retta via" può
essere raggiunta anche lungo cammini diversi, la Chiesa si interroga e discute
già da tempo: fu Giovanni XXIII a inaugurare, con il Concilio Vaticano II, la
stagione del dialogo e della riflessione critica. L'uno e l'altra sono stati
però condotti innanzi da Giovanni Paolo II con tanta passione da sconcertare
molti credenti tradizionalisti. Come si riconcili la convinzione di essere
depositari della sola verità rivelata con il riconoscimento di chi crede in
altre verità, è problema che si pone peraltro non alla sola Chiesa cattolica
ma a tutte le religioni: mentre non si pone al laico che non fatica a
riconoscere come vi siano strade molto diverse per la ricerca del bene e della
verità.
Come le grandi religioni diano soluzione formale a
questo problema è comunque affar loro; a un laico, come io sono, sembra che
esse lo abbiano risolto di fatto fin dal momento in cui se lo sono posto e
hanno iniziato a praticare il dialogo con gli altri. Il dialogo stesso è ciò
che conta. Giovanni Paolo II ha ricercato, per questo dialogo, molti
interlocutori. Primi fra tutti, probabilmente, i rappresentanti di altre
Chiese cristiane: tenace e difficile continua ad essere il dialogo con gli
ortodossi, che proprio nell'ultimo incontro ecumenico di Bucarest ha compiuto
passi avanti, ma che si urta contro il riflesso difensivo della Chiesa
ortodossa russa, ancora ferita dal lungo tormentato confronto col comunismo, e
dal ritardo che proprio quel confronto ha provocato nel suo incontro col mondo
moderno e nel suo "aggiornamento". Ma se la riconciliazione col
mondo ortodosso, così come quella meno ardua ma ancora problematica con il
mondo protestante, hanno per la Chiesa di Roma un valore preminente ai fini
della ricomposizione dell'unità cristiana, mi sembra di poter dire che il
dialogo con l'ebraismo occupi un posto privilegiato nel cuore del Papa
polacco, che nasce per istinto e educazione famigliare filosemita, e che più
di tutti i suoi predecessori ha ridefinito l'identità stessa del
Cristianesimo attraverso il confronto con le sue radici ebraiche. La ricerca
d'incontro con l'ebraismo ebbe il suo momento simbolico più emozionante nella
visita alla Sinagoga di Roma, in quel "piccolo passo al di là del
Tevere" che alcuni di noi gli avevano chiesto di fare, e che egli compì
coronandolo con l'omaggio reso agli Ebrei (che tale voleva essere) come
"fratelli maggiori".
Le tappe più tormentate di questo percorso, e quelle
che hanno attirato di più l'attenzione, le lodi o le critiche, hanno
riguardato il rapporto della Chiesa con gli Ebrei negli anni del nazismo. La
rilettura critica delle scelte fatte in quegli anni terribili da Pio XII è a
mio avviso ancora imperfetta e incompiuta. Le polemiche sul Carmelo di
Auschwitz, come quelle sulla canonizzazione di Edith Stein, dimostrano quanto
sia ancora difficile per la Chiesa comprendere fino in fondo la sensibilità
ebraica sulla "Shoah". Ma ci si deve augurare che ciò non impedisca
quel viaggio a Gerusalemme che il Papa sicuramente desidera con tutta la sua
anima per l'Anno Santo: l'ebraismo non può ignorare che la Chiesa deve a
Giovanni Paolo II più che a nessun altro Papa (inclusi, a me sembra, gli
stessi Giovanni XXIII e Paolo VI), il proprio abbandono di un antisemitismo
che risale ai giorni stessi della nascita del cristianesimo, e il
riconoscimento della grandezza e dignità della fede ebraica nella storia,
antica e moderna.
Possa il processo di pace che sta ora riprendendo creare
condizioni che rendano realizzabile il pellegrinaggio papale. Sia infine
consentita a un laico, che ha seguito attentamente e con simpatia gli sviluppi
del movimento ecumenico, ancora un'osservazione. Al contrario di quanto
pensavano i più fieri ortodossi all'interno della Chiesa, o di altre
religioni, il dialogo con gli altri non sembra affatto indebolire, ma anzi
esalta e rafforza la fede di ciascuno dei partecipanti. Il dialogo non semina
tanto dubbi, quanto nuove certezze: come se il contatto con la fede degli
altri (con la fede di altri "credenti", ed anche con la fede
umanistica e liberale dei laici), accrescesse la meraviglia del credente di
fronte alla "potenza divina", e quindi la forza del suo credere. Un
osservatore laico non può non ammirare la varietà delle forme in cui può
esprimersi il "mistero della fede": che tale è ed appare, anche a
chi professa una fede laica.
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