PAPA GIOVANNI PAOLO II

 

DAL QUOTIDIANO CORRIERE DELLA SERA .IT  DEL 02 aprile 2005 ( http://www.corriere.it )

Mi disse: credo nel genio delle donne

di MARIA ANTONIETTA MACCIOCCHI


Quel viso chiaro e limpido si chinò verso di me. Il suo sguardo incontrava e interrogava il mio con fiducia. Dall'intensità del gesto irradiava una sorta di forza interiore, una piccola aria metafisica gli faceva corona attorno al viso. Capii che mi imbattevo nel celebre carisma di Wojtyla. Stavo dritta nel salone papale di Castel Gandolfo dal piancito marmoreo col disegno geometrico, non lontana dal bianco trono con qualche sgabello di fattura rinascimentale a fianco dei due gradini.

Ero stata convocata sola, prima donna in questo pontificato, grazie alla fiducia di sua eminenza Achille Silvestrini, della Segreteria di Stato. Anche il Papa era vestito di bianco, il volto abbronzato dall'aria dei monti da cui tornava. Nella mia vita non avevo mai incontrato un Papa. Ero stata ricevuta da Mao, da De Gaulle, da Ho Chi Mihn e perfino nel fondo di Qom, città santa dell'Iran, ero stata ricevuta dall'imam più severo, il terribile Komeini. Ero stata io ad avere desiderato, sollecitato attraverso S.E. Silvestrini, che lavorava con Casaroli alla Segreteria di Stato, un incontro col Papa per finire il mio libro sull'Europa. Avevo bussato alle sacre porte di bronzo del Vaticano. Ero, la "donna con la valigia", titolo del volume, fonte di riflessione sull'Europa unita, tra spiritualità e cultura. Di Wojtyla avvertii subito l'unicità del ruolo. Avanzava verso di me, le mani tese, il sorriso aperto, e parlava la mia lingua, l'italiano. "Per me è un grande onore incontrarla", farfugliai. E di colpo fui esplicita, sincera, sorprendendo me stessa per quelle frasi che pronunciai: "Vengo da lontani lidi, quelli del marxismo - leninismo".

Così non solo mi qualificavo come una donna che aveva vissuto le avventure estreme della sinistra, ma in me parlava il frasario di Althusser, l'amico filosofo travolto dalla disgrazia... "Ne attendevo la visita a Roma" - mi rivelò subito dopo, pietoso, il Papa -. Era un grande filosofo". Così ho bussato al suo gran portone di bronzo e la sua curia mi ha aperto con slancio. Il Papa sorrise, come divertito. La sua voce era allegra e sonora, come raddoppiata da un'altra voce di fondo un po' cantante e dall'accento straniero. Bonomia, ironia nel fissare lo sguardo su di me. "Sto finendo il mio libro sull'Europa, ho chiesto di parlare con lei che tanta parte del suo pontificato ha dedicato a delinearne l'unità, mettendola al centro del suo messaggio per la riunificazione fra Est e Ovest... Come ha fatto recentemente, nel suo ultimo discorso a Berlino...".

Subito prese a parlarmi a lungo, cominciando con uno sconvolgente attacco: "Il mio Paese è la Polonia, condannata a morte più volte ma sopravvissuta a se stessa, appoggiandosi alle comuni radici culturali europee". Predisse quasi, davanti a me, con foga, che quest'Europa ("vampirizzata", aveva scritto Milan Kundera) si sarebbe presto riunita. L'Europa è una, esclamò. Mi predisse insomma - era l'estate del 1987 - che il Muro di Berlino sarebbe crollato, che la paura, l'incertezza per il futuro si sarebbero dissolte, che sarebbe iniziato un nuovo tempo d'unità e di pace per gli europei. La dittatura comunista era al tramonto. "L'Europa è una famiglia di popoli - disse - e ha un ruolo luminoso da svolgere alla vigilia del terzo millennio, attingendo alle sue origini fondatrici della rivelazione cristiana e al miglior umanesimo classico".

Nel salone solenne, più lontano, un drappello di dignitari mi scrutava, forse scontento perché il Papa perdeva tanto tempo prezioso per dialogare con me. Una donna. D'abitudine, si faceva una riverenza e si andava via. Così ogni tanto qualcuno si avvicinava per dirgli: "Santità, si fa tardi". Ma lui non rispondeva loro, anzi, continuava a parlarmi, guardandomi dritto negli occhi, come a valutare l'eco delle sue parole. Sul suo volto c'era una sorta di dolcezza quando prese a parlarmi delle donne, e non più dell'Europa, dell'Est ateo e di Berlino spaccata dal Muro. Mi confidò una piccola frase, quasi incandescente, che accennava ai problemi contemporanei: "Occorre promuovere l'autentica emancipazione delle donne". Le donne! Lui me ne parlò a lungo, come un apostolo itinerante che le aveva viste piegate, come spezzate in due tra ateismo e fede, nel complesso punto di incrocio delle due ideologie del tempo: fascismo e stalinismo.

Quando un Papa parla, non lo si può registrare né prendere appunti. I Papi, da duemila anni, non danno interviste e questo era un incontro di cui dovevo trattenere a mente le frasi per ricostruirle sul filo della memoria. "Certa scienza - mi disse - si serve delle donne come business per l'affarismo più scatenato e senza scrupoli. E' la donna - business su cui contano le banche specializzate, come negli Usa". Navigavamo allora nell'estuario del postfemminismo a vele flosce ("L'utero è mio e lo gestisco io" dicevano le femministe). Ma come è possibile vivere non solo senza Dio ma senza uomo? Dalle finestre si riverberava la luce fredda del lago.

Si avvicinò il prefetto della casa pontificia, con decisione. Prese quasi il Papa per il braccio, avvisandolo con due parole: "+ tardi". E fece cenno al drappello dei collaboratori che scalpitavano in fondo alla sala. Wojtyla, prima del congedo, si fece portare un rosario molto bello, chiuso in una scatola bianca, e me lo mise in mano con gesto rapido, senza nuovi commenti, tranne questo: "Torni, mi porti presto il suo libro sull'Europa. La riceverò con più calma e parleremo ancora". Il dignitario pontificio mentre mi accompagnava all'uscita commentò: "E' molto raro che il Papa chieda qualcosa, e soprattutto a una donna". Allorché fu dato alle stampe "La donna con la valigia. Viaggio intellettuale di una donna in Europa" (titolo originario "Di là dalle porte di bronzo") fui infilzata dallo spillone dei critici come una farfalla, un reperto nuovo nell'ideologia corrente. Mi accusarono di filopapismo e di nuovo culto della personalità. Perfino a Parigi i miei amici, i miei editori e un grande giornale come "Paris - Match" mi contestavano: "Ma lei non ricorda più di essere stata per tutti noi il simbolo più avanzato della sinistra femminile?". Rispondevo come Nietzsche, che la mia morale è antistrategica rispetto ai media imperanti, agli dei del video, che considerano un Papa credibile solo se parla delle donne come sentinelle del demonio. Il Titanic del femminismo post Sessantotto era naufragato in una tempesta politica e culturale, che turbava le femministe. E alcune si cominciarono a chiedere se era giusto portare un attacco così frontale contro questo Papa, e non cercarne l'alleanza.



Eravamo in pieno tornado. Ritrovai qualche anno dopo - il Muro era appena crollato - Wojtyla a Strasburgo in visita al Parlamento Europeo. Fece il discorso sull'unità dell'Europa cui aspirava da anni. Un mese dopo l'uscita del mio libro fui invitata attraverso Achille Silvestrini, a visitare il Papa nel salone Paolo VI. Era il 17 febbraio 1988. Lui mi attendeva seduto al lungo tavolo del salone. Aveva tra le mani il volume e mi attendevo un piccolo ringraziamento formale. Invece il Papa, alzando gli occhi dal volume, che teneva davanti a sé, mi indirizzò queste parole stupefacenti: "Credo nel genio delle donne". Mi sembrava di non aver capito bene, lo guardai interrogativa e lui ripetè con fermezza, quasi fosse una frase di sfida, martellando le parole con la sua voce profonda: "Credo nel genio delle donne".

Davanti alla mia meraviglia, continuò: "Anche nei periodi più oscuri della storia si trova questo genio che è la leva del progresso umano e della storia". Voleva farmi una confidenza? Affidarmi una nuova intuizione? Ma queste parole dette a una donna, ritornata da tutto e anche da se stessa, furono così sorprendenti per il mio spirito che non si cancellarono più. Le ritrovai, il 30 settembre dello stesso anno, nella lettera apostolica "Mulieris Dignitatem". Ero stata la prima tra tanti vaticanisti, e giornalisti gelosi come scimmie, ad avere ottenuto il documento dagli uffici vaticani del Papa e quindi la prima che ne scrisse sul "Corriere della Sera" il 30 settembre 1988. Il giornale, per una volta, pubblicò il mio articolo in apertura di prima pagina, sotto il titolo, più stupito che allarmato: "Papa Wojtyla crede nel genio delle donne".

L'anno successivo il Muro di Berlino, crollando in frantumi, cambiava la faccia dell'Europa. Mi giunse attraverso Joaquin Navarro, suo addetto stampa, un invito a cena di Wojtyla nel suo appartamento privato. Nel salone era disposta una tavola semplice, quasi patriarcale, coperta di un drappo bianco, dove i cibi che arrivavano erano i più semplici. Una minestra, una fettina di carne, una spigola lessa servite da due suore anziane, molto garbate. C'era una grande caraffa di vino ma il Papa non ne beveva e nessuno di noi lo toccò. Sembrava di stare alla tavola di un antico patriarca, di un capofamiglia, che con gentilezza voleva tutti a loro agio. Quanto a me, mi lasciava sciorinare le mie idee, non mi arrestava, come se lo incuriosisse ascoltare quella voce femminile che interveniva senza complessi, e con una sorta di felice fiducia in quell'alta dimora dei Papi. Attorno al tavolo sedevano due segretari del Papa, tra cui il polacco don Stanislao Dziwisz e un terzo convitato, l'addetto stampa Navarro.

La conversazione era molto libera, sulle vicende del mondo, dell'Europa, della vita delle donne e del Parlamento europeo, al quale fra l'altro non ero stata rieletta, per una di quelle disavventure elettorali riservate soprattutto all'emarginazione femminile. Non fece commenti, e mi chiese soltanto se continuavo a insegnare nell'università francese. Parlammo della Cina, dove la passione missionaria di Wojtyla si dirige instancabile, e volle sapere del mio incontro con Mao. Quell'antica civiltà millenaria lo affascinava. Nei mesi che seguirono quella cena, scrissi un nuovo libro, verso cui mi riportavano tutte le riflessioni compiute in quei mesi e che s'intitolava "Le donne secondo Wojtyla. Ventinove chiavi di lettura della Mulieris Dignitatem". Avevo convocato per il dibattito nel libro i saggi di tredici uomini e sedici donne tra cui storici e teologi famosi come Jean Guitton, Regine Pernoud, Francesco Alberoni, Giulio Giorello, studiose del Nord Europa e dell'America. Anche il cardinale Martini che scrisse, in un magnifico saggio, come "i racconti evangelici testimoniano che Gesù faceva tutto il possibile perché le donne ritrovassero nel suo insegnamento e nel suo agire la propria soggettività e dignita". Per l'uscita di questo libro, fui invitata ancora una volta a cena nell'appartamento del Papa. Wojtyla mi rivolgeva un'attenzione colta, mi interrogava brevemente, mi ascoltava con interesse esplicito. Volevo fargli un dono, ma non sapevo cosa si regala a un Papa. In una foto di giornale l'avevo visto seduto alla sua piccola scrivania illuminata da una vecchia lampada da ufficio che emanava una luce fioca sotto cui andava scrivendo.

Allora pensai di comperargli una bella lampada fluorescente, dalla luce risplendente e intensa. Poi Navarro mi disse che egli l'aveva accettata volentieri e l'aveva fatta mettere al posto del vecchio lume di metallo. Anche se non l'ho mai vista, mi auguravo che quella luce calorosa abbia illuminato le sue pagine. Fino agli ultimi scritti, come quella fantastica "Lettera a tutte le donne del mondo" inviata a Pechino, al momento del Congresso mondiale delle donne, convocato dalle Nazioni Unite. E oggi, in questo ventesimo anniversario del pontificato, esiste ancora la sua preoccupazione per il futuro delle donne? Credo assolutamente di sì. Il genio della donna trova ancora in Wojtyla un ardente difensore. E, anzi, esso si amplia anche alla filosofia, scienza maschile per eccellenza.

L'originalità del pensiero di questo Papa verso le donne è come una linea maestra dritta come una spada. Mentre nella Piazza San Pietro, illuminata dal sole dell'ottobre romano, si dava conoscenza alla folla dell'enciclica "Fede e ragione", al tempo stesso veniva proclamata santa una filosofa, studiosa d'eccezione, suor Edith Stein. D'origine ebraica, carmelitana, uccisa nelle camere a gas dai nazisti nel 1942, lei aveva conseguito il suo dottorato in filosofia, e ricercato la verità attraverso i testi filosofici. + la prima donna filosofa, colei che, parole del Pontefice, "percorse il cammino arduo della filosofia con ardore appassionato, conquistò la verità, anzi ne fu conquistata". Papa Wojtyla, sembrava commosso fino alle lacrime, parlando della nuova santa, il cui volto armonioso, leggiadra ragazza bruna, aleggiava sopra di lui, in una grande immagine affissa in alto, sulla facciata del Vaticano.

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