PAPA GIOVANNI PAOLO II

 

DAL QUOTIDIANO REPUBBLICA .IT  DEL 04 aprile 2005 ( http://www.repubblica.it )

Il primo giorno dei senza Wojtyla
"Abbiamo già nostalgia di lui"

di GIUSEPPE D'AVANZO 


ROMA - Non c'è. Karol Wojtyla non ci sarà più. Mai più in San Pietro risuonerà la sua voce dolce, severa e allegra. La piazza è un mare nero di teste quando decine di cardinali in paramenti bianchi prendono posto sul sagrato della basilica, e d'improvviso il pensiero di quell'assenza rintrona come un fulmine con una mestizia nera. E' oggi il giorno del dolore, è oggi il primo giorno in cui il dolore finalmente si capacita di se stesso, quasi con stupore, con un piccolo choc emotivo che fissa nella memoria - per la prima volta e con la violenza di uno schiaffo - quell'assenza, quel vuoto, il lutto. 

Mai più Karol Wojtyla sarà qui dinanzi a noi. Da qualche parte dietro le mura c'è il suo corpo senza vita, ma a quel mare di teste gonfio di tristezza non manca soltanto il suo corpo, la bianca veste e i suoi gesti, mancano e mancheranno le sue parole, la sua forza, la sua passione, il suo spirito. Oggi, più di sabato notte, chi ha raggiunto San Pietro ha gli occhi umidi di pianto. Sembrano uccellini bagnati, gli occhi, dovunque guardi. 

Il nuovo pellegrinaggio verso la piazza vaticana comincia di buon mattino. Un corteo silenzioso di giovani con le facce spiegazzate di chi non ha chiuso occhio, di famiglie, di scout, di amici. Di bambini. Piccini seri seri, quasi compunti, come consapevoli di quel che accade e a chi è accaduto; consapevoli del perché sono lì; del perché vogliono essere lì e non al parco, oggi che è domenica. Dice uno, mentre si affretta lungo via della Conciliazione tenendo per mano la madre e inseguendone i passi a saltelli: "Mamma, ma secondo te il Papa sa che io gli voglio bene?". "Sì, Simone - risponde la madre - il Papa lo ha sempre saputo...". "Mamma, ma secondo te il Papa lo dirà ora a Gesù che io gli ho sempre voluto bene?". "Sono sicura che glielo ha già detto, Simone" e mentre parla la madre ora guarda in alto per non mostrare al piccolo che sta piangendo. 

È il giorno del dolore oggi, e delle lacrime. Come se, dopo che la morte è giunta, ci si preparasse a fare i conti con un vuoto a cui nessuno era pronto. Migliaia di uomini e donne si stringono nella piazza e sembrano voler colmare quel vuoto, cancellare quell'assenza con le immagini del Papa. Quante sono le mani che stringono una foto, un santino, l'edizione straordinaria dell'Osservatore Romano o un giornale qualsiasi, se ha a tutta pagina l'immagine del Pontefice? Sono migliaia. E quelle immagini sembrano raccontare l'intera storia di Karol Wojtyla e rincuorare, lenire. Karol che bacia un bambino. Karol che sorride dinanzi a una folla di giovani. Karol che accompagna con larghi movimenti un canto allegro. Karol al Muro del Pianto. Karol ingobbito e fragilissimo e sofferente appoggiato a un Cristo. Karol in Africa. Karol a Cuba. Karol a Manila. Karol, giovanissimo, a Cracovia. Karol in montagna. 

Ad ogni passaggio della messa officiata dal cardinale Angelo Sodano, in mitria e casula dorata, queste immagini vengono alzate al cielo e quasi sbandierate come per dire: Karol è ancora qui. È un gesto che in molti, in tanti provoca un nuovo moto di commozione. 
Soltanto i preti non piangono mai. Ce ne sono centinaia, e spesso sono molto giovani. Se stanno in disparte. Spesso, da soli. Hanno volti sereni e quieti. Tra tanta malinconia, il loro animo calmo riesce a mostrare che cosa può essere la fede. Giovanni Paolo II ha concluso la sua "operosa giornata terrena" e ora è, "nella patria del cielo", tra le braccia di Cristo, gioioso, felice, non più sofferente. Questa cristiana convinzione, tuttavia, non impedisce agli uomini di chiesa di avvertire già, come dice dal pulpito Leonardo Sandri, sostituto alla Segreteria di Stato, "la nostalgia" di Wojtyla. "E che cos'è la nostalgia se non, alla lettera, dolore per il nostos, per il ritorno? - si chiede don Paolo che era qui anche ieri - Il ritorno all'inizio della nostra storia personale quando Giovanni Paolo è apparso nella nostra vita, cambiandola. Non mi sorprende se il rimpianto, la malinconia per il ritorno a un nuovo inizio sia accompagnato dallo smarrimento, dall'apprensione. Come sarà la nostra vita senza la sua testimonianza? Senza la sua parola? Senza il suo incoraggiamento? Senza la sua presenza?". 

Per provare a dare una risposta alle domande di don Paolo si può raggiungere uno dei quattro lampioni della piazza che, da ieri, sono diventati altari votivi, coperti come sono di fiori, candele, disegni infantili, messaggi scritti in fretta. Sono messaggi semplici. Poche parole. "Grazie per la tua serenità e per il tuo coraggio". Sono parole banali. "Rimarrai sempre nei nostri cuori". O "televisive". "Ciao, sarai sempre il mio Papa!". O amorevoli. "A mio figlio ho dato il tuo nome". "La gioia dell'amicizia non è nella mano tesa né nel dolce sorriso; è nell'appagamento spirituale che viene dalla scoperta che qualcun altro crede in te ed è pronto a darti la sua amicizia". Ci sono anche parole che suonano come un impegno per quel "ritorno al nuovo inizio di una storia personale". "Non avrò paura". E ancora: "Devo chiederti perdono. Troppo tardi mi sono avvicinato a te. Troppo tardi ho compreso il tuo insegnamento e il valore della vita. Ora soltanto capisco di aver perso un amico e un uomo speciale. Ti chiedo ancora perdono". 

Piazza San Pietro ha una forza solenne che coinvolge anche i più distratti. Qualche "voyeur" sembra essere colto da uno stato emotivo che lo stupisce. Ce ne sono molti, di voyeur, di "collezionisti". Sono qui per "esserci", naturalmente. "Perché collezionano - come dice, alquanto cattivo, don Paolo - presenze e possessi. Accumulano presenze come si imbottiscono di possessi. Hanno delicati sentimenti per le cose e la sensibilità del ghiaccio per le persone". 

È un ghiaccio che oggi la commossa tensione di piazza San Pietro sembra sciogliere o, per lo meno, intaccare. Accade ad Amelia, per esempio. Ha quasi venti anni, "venti anni a luglio". Forse esagera, forse "posa", forse è sincera. Racconta: "Ero qui anche stanotte. Veramente, siamo venuti perché la discoteca è stata chiusa per la morte del Papa. Così ci siamo detti: bè, non abbiamo nulla da fare, andiamo allora al Vaticano a vedere anche noi. No, non c'ero mai venuta... Sì, certo, ci sono "passata", ma mai venuta, se capisci che voglio dire. Dunque, arriviamo che sono quasi le due. Non c'era molta gente. C'erano però molti ragazzi che avevano sistemato i loro sacchi a pelo e suonavano, cantavano, pregavano. Mi sono seduta lì con loro. Abbiamo chiacchierato. Non so, come dire... Mi sono chiesta tornando a casa: ma perché io non credo? Perché non ho mai pensato davvero alla religione? Sa, quei ragazzi stanotte mi sono sembrati felici. Io non sono più tanto sicura di esserlo: felice, intendo... Così sono ritornata oggi e tornerò per vedere il corpo del Papa. Secondo te quando mi devo mettere in fila?". 
Se Amelia ha scoperto (sembra) un nuovo modo di stare insieme, altri più sventurati sono in San Pietro per cercare "calore" sicuri di trovarlo, almeno per qualche giorno. Capita ai senzatetto. Da giorni, decine di clochard dormono protetti dal colonnato di Bernini. Come Anna, settant'anni, che viene dall'Europa dell'Est e da venti vive sotto i ponti di Roma. Anna dice di aver incontrato Karol. "Un giorno il Papa ha invitato i senzatetto in Vaticano e ci ha fatto sentire importanti. Ci ha offerto un grande pranzo e ha diviso il pasto insieme a noi. Poi ha donato a ciascuno di noi una coroncina del rosario e centomila lire. E' stata una giornata che non dimenticherò mai". 

Anna è in ginocchio e prega e piange. Dice di aver scelto di resistere nella sua povera e alcolica vita romana "perché qui, nella città della Chiesa, ho sentito il calore del Papa, di un uomo che amava la sua gente e alla sua gente non faceva mancare il suo affetto". "Da ieri - continua - non riesco ad andar via da questa piazza, forse è un modo per stargli ancora vicino, di sentirlo ancora vivo, ancora accanto a me". Anna ora ha gli occhi pieni di lacrime. Raccoglie il rosario che ha appoggiato a terra accanto alla fotografia del Pontefice. Lo guarda. Lo mostra. Sembra esserne fiera. "Questo è il regalo che il Papa ci ha fatto quel giorno. Lo porto sempre con me". Ricomincia a pregare. 

Quando l'officiante invita a scambiarsi un segno di pace, tutti guardano il loro vicino e allungano la mano. Se la stringono con affetto. L'effetto è sorprendente perché gli uni accanto agli altri si possono vedere i popoli del mondo. Filippini. Africani. Europei. Anglosassoni. Sudamericani. Se fai attenzione, puoi ascoltare decine di lingue diverse, come forse capita soltanto alle Olimpiadi. Se ti guardi vedi l'una accanto alle altre le razze del mondo. Tutti ora ascoltano le parole del cardinale Sodano: "Ite, missa est. Alleluja. Alleluja". Sono le 12,09. Quasi a malincuore, migliaia di persone imboccano di nuovo via della Conciliazione verso il fiume e sono ancora lì, tra quelle due quinte di retorica monumentalità, quando la campana di Sant'Andrea, quasi a tradimento, comincia a suonare "a morto". La campana si muove lenta e il suono secco arriva in controtempo, lento anch'esso, e tristissimo a ricordare che Karol mai più ci sarà. 

 

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